Leggevo l’altro giorno su Repubblica.it uno speciale dedicato alla nuova emigrazione italiana all’estero. Migliaia di storie di ragazzi, di giovani fuggiti dall’Italia in cerca di un lavoro, di una speranza, di un clima più leggero dove poter crescere, migliorare e raggiungere obiettivi altrimenti impossibili in Italia. Reputo questa nuova lente d’ingrandimento sull’emigrazione italiana abbastanza falsa ed ipocrita.
Perchè solo ora tutta quest’attenzione verso i giovani che lasciano l’Italia? Che donano il proprio capitale umano al Pil di un’altra nazione? PERCHÈ ora sì che SERVIREBBERO. L’Italia si è svegliata nuda, senza nuove idee, incapace di investire sul proprio futuro.
E le nuove generazioni che vanno via e che non cercano una nuova nazione, perchè sono essi stessi la loro nazione, si sentono dire da giornali e amici: “Ma perchè siete andati via? Cosa abbiamo sbagliato per farvi scappare dalla nostra terra? È troppo facile scappare quando le cose vanno male“. Ma dove erano questi stessi giornali e questi stessi pensieri quando i giovani, magari considerati in eccesso e senza una buona educazione scolastica, non servivano all’Italia? Quando venivano letteralmente venduti al Belgio o alla Svizzera? Quando venivano scambiati con tonnellate di carbone o di cemento?
I giovani che oggi con fior di lauree e master vanno via dall’Italia lasciano sì una matria, ma non sentono affatto l’esigenza di una patria.
Le istituzioni del belPaese hanno giocato un ruolo importante nel formare l’Europa ed ora si lamentano della mobilità interna al continente, nel caso sia un flusso di italiani preparati e decisi ad andarsene; hanno fatto di tutto per applicare una concezione del lavoro che di flessibile ha ben poco se non viene accompagnata da diritti e garanzie, una concezione del lavoro che piace a chi risparmia in carta da contratti. Una concezione del lavoro che ha finito per far entrare in una competizione assurda ed inevitabile le migliori menti giovani del Paese, mentre dall’alto non si fa che guardare ed aspettare, come se di una lotta tra galli si trattasse, che ne esca sanguinante un vincitore. Il fortunato avrà il suo premio, nella maggioranza dei casi un contratto di collaborazione a termine.
È per questo che amo l’emigrazione leggera, quella che è andata via dall’Italia in anni non sospetti, che vive all’estero ma non rinnega l’Italia, che fuori ha trovato la sua identità, sfruttando magari l’italianità per farsi strada. Un’emigrazione che non ha niente da rimproverare all’Italia (per questo non viene studiata ed interrogata) ma che passeggia fischiettando e felicemente per le città.
Oggi vi presento Giuseppe Di Claudio, mio antico collega di lavoro, addetto stampa con sagacia ed arguzia. La sua vita occuperebbe una decina di libri, ma per non annoiarvi vi faccio vedere questo video che sintetizza il suo modo d’essere: un miscuglio di culture e punti di vista.
Perchè nella preparazione di un piatto rispecchiamo tutto di noi. Giuseppe è una persona ironica, viva e con voglia di fare. Giuseppe se la ride dell’Italia ma ti sorprende con analisi precise e previsioni surreali, che sempre si avverano.
Vorrei poter essere un emigrante di questo tipo, ma non lo sono.
Nota, la fotografia, poi contestualizzata, viene da qua.
Letto con interesse il tuo post. Sono, come te, italiano all’estero e amo i nostri paesani come Giuseppe che prepara allegramente la sua ricetta. Sono convinto, peró, che molti di noi soffrano l’amarezza di aver abbandonato la terra e di poter far ben poco per migliorarla da quaggiú. Dai un’occhiata: http://bit.ly/cYv4Gn
Saluti e grazie per lo spunto di riflessione
Il tuo post mi è molto interessante. A volte penso che si intellettualizzi e politicizzi troppo il fenomeno “giovani emigranti”, mentre moltissimi giovani andiamo via solo per vedere com’è la vita in un altro posto, e poi restiamo per molti motivi, non sempre e non solo perché all’estero si-sta-meglio/si-guadagna-di-più/abbiamo-lavori-qualificati. Del resto quando vivevo a Roma conoscevo moltissimi stranieri che si erano trasferiti in Italia dalla Spagna,Francia,Inghilterra,Germania etc. e che si sentivano assolutamente appagati della vita nel Bel Paese. Trasformare il naturale desiderio di conoscere e partire in questione sociale mi sembra un po’ una forzatura. Piuttosto i politici italiani dovrebbero concentrarsi sulla generale insoddisfazione dei giovani che risiedono in Italia e guadagnano 800 euro al mese, e non sulla felicità di quelli che vanno via. Che poi, diciamoci la verità, stare lontani non sempre è facile-bello-stimolante come si crede (e come inconsciamente vogliamo far credere). Un abbraccio Lucio, grande giornalista pugliese in quel di Madriz!
Dopo la lettura di quest’articolo, io italiano emigrato all’estero (ultraoceanico), nato in Calabria, ho arrivato a una conclusione specialissima in quento riguarda il suo contenuto: Sembra che tutti noi dovuti andare via, (raggionamento genuino, non piacevole a molti italiani che abitano il paese) possiamo chiamarci anche “spaesati”. Non potrei mai aggiungere neanche una sillaba a questo argomento e il commento scritto precedente. L’italianità giovanile degli anni 50 e 60, adesso fuori paese, quanto avrebbe arrivato ad essere utile al risorgimento della nostra patria? Invece tutto quel potenziale di scentifici, professionisti, uomini della cultura in generale ecc. hanno dovuto emigrare. La domanda sarebbe: Cosa ha fatto quel governo di turno, e i nostrio famigliari per trattenerci e contenerci?. La risposta l’hanno loro.
Ciao Carmelo e grazie per il tuo commento che, non ti nascondo, mi ha commosso un poco. Nelle tue parole si intravede tutta la storia di un emigrato all’estero che, nonostante anni ed anni di lontanaza, lotta prima di tutto per non dimenticare le radici, la lingua, la mente sveglia. Grazie ancora!
Come non condividere. Come tanti lettori di questa pagina, anche io sono all’estero ormai da 10 anni e all’estero ho trovato fortuna.
Guardo all’Italia, a casa, al mio paese, con nostalgia e rabbia. Nostalgia della mia gente, rabbia che quella gente non si renda nemmeno conto della situazione in cui e’.
E allora ho pensato. Io il mio paese lo voglio in dietro. Io ho visto, fuori dall’Italia, come le cose possono e devono funzionare. Ho avuto la fortuna di fare carriera velocemente, fino a livelli relativamente alti ed ho avuto la enorme fortuna di fare business, visitare e vivere tanti paesi esteri: dall’Irlanda, agli Stati Uniti (dove vivo attualmente) alla Russia (dove ho fatto business) al Medio Oriente (dove ho gestito affari per conto della mia azienda).
E allora, tutta questa esperienza voglio provare a utilizzarla per cercare di cambiare il Mio paese. per me, per i miei conoscenti e per tutti.
E ho creato questo:
http://www.facebook.com/pages/Italia-che-Risorge/163855120294717?v=info
Voi Italiani all’estero probabilmente capirete immediatamente il significato di questa pagina e la missione. Per i connazionali ancora in patria, sara’ un po’ piu’ difficile, perche’ quel concetto di liberta’ e diritti individuali in Italia non esiste.
Se vi piace, per favore contribuite con le vostre idee. E per favore, mandate anche commenti critici che fanno sempre bene!
Grazie Lorenzo per le idee, per la proposta e per il link! Ci vediamo di là!
Io, dopo aver vissuto 2 anni in Argentina, all’inizio per curiosita’, poi, arrivata in Patagonia, per felicita’ e amore, sono tornata (con mio marito argentino) in visita in Italia. I programmi sono fatti per essere cambiati e alla fine sembra che ci fermeremo qualche anno…per poi tornare dove gli orizzonti sono lontanissimi e i cavalli corrono liberi. Non so in che contesto mi sento. Ma forse non mi sento di dover definire i miei confini. Mi sento parte di un pianeta. Me ne sono andata quando ancora non si parlava di crisi. Ed ora mi ritrovo parte di un gruppo, che forse esiste solo nelle parole di qualche politico o sociologo, e con una etichetta in fronte che dice “emigrante a causa della crisi” o “vagabonda figlia dell’incertezza del nostro tempo”. Non sopporto chi inquadra la gente per poter meglio costruire le sue definizioni teoriche. Ma cos’e’ un Paese? Quali sono i bisogni e i desideri che un uomo di un Paese prova e quello di un altro no? La fame e’ fame ovunque e l’amore e’ amore per tutti. L’inquinamento che si produce in un Paese contamina l’aria di tutti. E odio i discorsi tipo “Italia a crescita zero” “Gli italiani devono fare tanti figli” quando globalmente il mondo e’ sovrapopolato e non ci sono e non ci saranno cibo e acqua per tutti. Ma di cosa stiamo parlando? Italia? Ma ci rendiamo conto che siamo uomini sulla Terra? Ma chi se ne frega se ora vivo qua, domani la’ e tra un mese in un sottomarino. La mia patria? e’ la comunita’ con cui vivo e la gente che amo. La vita? Il mondo, la mia mente, il mio cammino.