Dai diamanti non nasce niente, dai dati nascono i fiori

Facebook ha da poco annunciato diverse interessanti novità per rispondere e “autoregolamentarsi” dopo le varie polemiche di questi mesi su gestione, utilizzo e trasparenza dei dati ceduti dagli utenti durante la semplice navigazione e l’utilizzo del social network e i siti affiliati.

La più importante sarà sicuramente il nuovo sistema di controllo della privacy degli utenti chiamato “Clear History, grazie al quale ognuno di noi potrà, in qualsiasi momento, cancellare completamente tutte le informazioni su gusti, preferenze, esperienze d’acquisto, like che ha ceduto poco a poco, click dopo click, a Facebook.

In questi giorni avrete inoltre sicuramente notato, su Facebook ma anche su Instagram (e su vari altri portali e social network), la comparsa di un banner di accettazione di modifiche varie nella policy e nella gestione della privacy. E avrete cliccato su ok senza pensarci troppo, che vuoi che sia.
Tutto molto bello vero? Beh, quasi.

Perché tutto questo “Rinascimento” della trasparenza sui diritti degli utenti dei servizi web?

Siamo usciti dal medioevo della privacy mordi e fuggi, per entrare nel rinascimento della consapevolezza. I nostri dati valgono, fanno girare l’economia, vengono ceduti senza pensarci due volte al primo servizio che li richiede in cambio di un servizio utile e gratuito. Le ondate di polemiche, le milioni di voci indignate di questi mesi hanno contribuito a rendere mediamente più informata un’opinione pubblica così ignorante e incazzosa da richiedere a gran voce, e con estrema velocità, modifiche strutturali alle logiche commerciali del web, da pretendere la ghigliottina nella pubblica piazza.

Un’opinione pubblica così convinta della propria ritrovata forza che per manifestarla firma centinaia di migliaia di petizioni sulle piattaforme dedicate (che acquisiscono e rivendono ogni singolo dato dei firmatari), che cambia l’avatar del proprio profilo per rispondere con la dovuta forza all’ennesimo attentato terroristico o calcistico, che ripudia le pubblicità installando ad-block mentre venera l’ennesimo post su Instagram di influencer (“sono come noi”) belli e giovani, influencer che oggi provano un nuovo tè, domani un servizio di consegna a domicilio, dopodomani una bella Spa durante un meraviglioso e ben illuminato blog trip in Umbria (#nofilter). Su questo ultimo fenomeno, chiaramente pubblicitario, è intervenuto con la dovuta forza il legislatore, nelle vesti dell’Autorità per Garante per la Concorrenza ed il Mercato, imponendo (con delle lettere di moral suasion) la chiara esplicitazione del carattere pubblicitario di questa tipologia di post: tutto risolto con un chiaro e durissimo tag #Ad o #Adv. Potete smontare le ghigliottine.

L’opinione pubblica, dicevo, ha richiesto a gran voce un definitivo e appropriato spargimento di sangue, e le modifiche alle piattaforme web sono arrivate, a grande velocità. Modifiche che, trasferendo tutto l’onere e l’onore sul “consumatore”, hanno reso felici proprio tutti. Il legislatore, che ha “obbligato” in tempi rapidissimi i grandi del web ad ammettere le proprie “colpe” e offrire uno strumento agli utenti per sanarle, e gli utenti stessi, che non credendo più al ruolo della politica e della società organizzata, sono ben felici di gestire in prima persona la propria privacy.

Corollario: il 25 maggio 2018 entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati degli utenti, il temibile RGPDcausa compartecipata di molte delle richieste di modifiche delle policy che vi stanno disturbando la navigazione in questi giorni. Eroici, ed è la prima volta che non uso ironia.

Un esempio: perché cancellare la nostra storia su Facebook potrebbe convernire prima di tutto a Facebook?

Quando la politica (o le politiche) non viene più ascoltata, non è più investita da autorità, non sa guidare o si lascia guidare dagli umori momentanei e altalenanti dell’opinione pubblica, non ha gli strumenti o le competenze per affrontare i problemi di una società in continua evoluzione, succede che vince il mercato non regolato. A mani basse e con il sorrisetto in viso, e anche a ragione.

I dati personali esistono perché esiste la società. I nostri dati anagrafici, la storia delle nostre famiglie, sono sempre stati conservati nelle istituzioni più autorevoli della società, istituzioni che, per convenzione o patto sociale, tutti nel tempo abbiamo deciso di riconoscere per evitare il caos. Ed è per questo che i registri civili erano un tempo tenuti ed aggiornati dalle singole parrocchie dei singoli villaggi e Comuni, quando ancora non esisteva uno Stato, per poi passare in mano di chi, volta per volta, abbiamo scelto “ordinasse” la nostra convivenza civile e sociale. Ogni Stato che si rispetti e che voglia preservarsi ha l’obbligo, l’onere e l’onore, di custodire e regolare l’accesso ai dati dei propri cittadini, nell’interesse di tutti. I dati, lo sono sempre stati ma ora è evidente a tutti, rappresentano una risorsa strategica fondamentale per la sopravvivenza di ogni società. E come tale devono essere protetti. Ci rappresentano in Rete e non, rendono tangibile il nostro “diritto di esistere”. Ne ho già parlato in un post precedente, riguardante i rischi e le opportunità della nuova Cittadinanza Digitale.

Ogni tanto mi lascio prendere, ritorno su Facebook. La possibilità che ci verrà offerta di cancellare tutta la nostra storia di navigazione sul social network, funzione che già esiste per i browser, è sicuramente una garanzie per l’utente ma potrebbe essere interpretata come un meraviglioso modo di adeguarsi alle richieste, zoppe, delle istituzioni e far felici i consumatori che potranno così smontare di nuovo la ghigliottina dalla pubblica piazza.

Pulire la nostra storia di navigazione permette a Facebook di lavorare meglio e in maniera più precisa con i vostri futuri dati, quelli più aggiornati, più veritieri.

Come posso capire come ti vesti oggi, e quindi suggerirti un acquisto mirato, se guardando nel tuo armadio trovo tutto ciò che hai indossato negli ultimi 5-7 anni?

Se io cancellassi in questo momento tutto il mio storico di navigazione di Facebook cancellerei una mole di informazioni enorme ma allo stesso tempo antica e stratificata su interessi e “targettizzazioni” non più coerenti con ciò che sono ora. Cancellerei dati su gusti e umori di 10 anni fa, quando esistevano e pubblicavo aggiornamenti su prodotti e mode oramai in disuso. Allo stesso tempo, continuando a utilizzare Facebook, reinizierei a fornirgli informazioni e dati sui miei gusti, su come la penso e cosa faccio, aggiornatissimi e validissimi, freschi e appetibili dalle ditte che su Facebook si pubblicizzano (che spesso pubblicizzo io stesso).

Sarebbero dati più utili e coerenti, che magari porterebbero maggiori conversioni agli advertisers e quindi maggiori profitti e che, perché no, potrebbero quindi essere offerti ad un prezzo superiore o garantire comunque alla piattaforma maggiore affidabilità e quindi maggiore investimento in pubblicità. Sono tutte ipotesi, ma sono tutte logiche.

Perché lo Stato non si riprende quel che è suo?

I dati ci appartengono e giustamente in una logica di mercato i nostri gusti e i nostri interessi viaggiano e vengono condivisi da quando esiste il marketing. I database di profilazione si possono acquistare in Rete con poche centinaia di euro, e sono alimentati da utenti più o meno informati e consapevoli che decidono di spuntare le famose opzioni di accettazione durante la registrazione ai servizi più disparati. A volte scoppia qualche scandalo su un’applicazione che si è appropriata dei nostri dati in maniera più o meno fraudolenta, a volte ci scandalizziamo su come mai quella determinata marca di caffè continua a comparirci in ogni sito che visitiamo dopo che non ne abbiamo completato, avvolti da terribili dubbi, l’acquisto di un pacchetto su Amazon. Tutto regolare, fa tutto parte del gioco a cui abbiamo deciso di partecipare.

A volte però questo sottile equilibrio tra navigare liberamente, ringraziando i centinaia di servizi gratuiti che risolvono i piccoli problemi e le piccole necessità del giorno a giorno, e cedere le nostre informazioni senza rendercene del tutto conto rischia di rompersi a favore di chi nel libero mercato ha trovato il modo di muoversi un po’ troppo liberamente, a discapito di tutti gli utenti, della concorrenza, di tutti i cittadini e i consumatori, dei nostri dati usciti dalle parrocchie. A mantenere in perfetto equilibrio questo sistema, evitando abusi e allo stesso tempo favorendo le logiche del mercato, deve essere il Pubblico, devono essere professionalità, osservatori, accordi e strumenti pensati e messi all’opera per l’interesse di tutti, con una chiara visione a lungo termine.
Siamo davanti alla battaglia del secolo, fino all’ultimo cookie.

Newsletter, una mail ogni tanto, giuro.

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